A lezione dal prof. Barbero
Parliamoci chiaro: conosco poche persone che non sanno chi sia, in Italia ormai va forte anche sui social... sto parlando del professore Alessandro Barbero, storico, studioso, divulgatore e autore di moltissimi libri. Se vi dovesse capitare di fermarvi sullo scaffale della sezione «storia» di una libreria (o di un portale digitale per i più smart) vi accorgerete che le sue pubblicazioni coprono la storia dell'uomo a partire dall'antica Roma fino alla contemporaneità, passando per le crociate, Napoleone e le due Guerre Mondiali. Diciamo che è un "fenomeno", sia nel senso etimologico di "colui che appare", essendo molto seguito, sia nel senso di "mitico", capace di rinchiudersi per anni in qualche archivio per approfondire qualsiasi argomento.
Fu così che un tardo pomeriggio di dicembre insieme a due persone care mi recai al teatro G. Donizetti di Bergamo per sentire una sua lectio magistralis su San Francesco. Confesso, il titolo non lo ricordo nemmeno. È bastato sentire «Barbero viene a Bergamo» che sono partiti i messaggi «Prendi tu i biglietti?» «Si, tranquillo», e così eccoci qui.
Il titolo poi non è così eccezionale: San Francesco. Come il libro: 7 capitoli contenenti ciascuno una biografia del santo di Assisi. La ricerca e dunque l'esposizione del prof. Barbero si sono focalizzate sulle fonti che ci sono arrivate: partendo dal testamento spirituale del santo siamo stati condotti abilmente a conoscere passando in rassegna tutte le principali fonti che di lui raccontano la vita. In particolare Tommaso da Celano (con i suoi numerosi scritti) e san Bonaventura da Bagnoregio (con la sua opera di sistematizzazione operata da ministro generale dell'Ordine)
Un'ora e mezza volata seguendo le parole del professore, quando possibile anche i suoi gesti e la mimica che lo ha reso anche un personaggio social (questo perché in galleria non tutti i posti consentono una buona visuale, meglio che niente).
Non mi stupisco del silenzio pieno di concentrazione che si crea non appena termina il lungo applauso che accoglie il professore e lascia spazio alla sua prolusione. Tutta la platea pende dalle sue labbra, me compreso. Lo dimostrano le risate convinte che scappano dopo qualche sferzata ironica a metà racconto.
Quindi, potremmo dire, una lezione eccellente, un ottimo modo di passare un lunedì sera con un viaggio nella storia. Si. No, cioè, NI.
Perché?
Premesso che il sottoscritto non è nessuno per contestare il prof. Barbero, e che quindi non è questo l'obiettivo di questo post, vorrei registrare una piccola delusione della serata. Sembra che non sia scoppiata la scintilla, quella che ti fa uscire da un evento simile rigenerato, quasi diverso da come sei entrato. La cosa che mi stupisce è che questa sensazione mi è già capitata proprio ascoltando il prof in qualche podcast sulla II Guerra Mondiale, sulla vita di Dante Alighieri... mi aspettavo "il botto" con San Francesco...
Eppure sento che non tutto ciò non sia successo, ma sento di aver passato buona parte della conferenza a dibattere interiormente con le parole del professore. Cercavo qualcosa di più della sua ricerca da storico. Mi è sembrato mancare un qualcosa in più, che mostrasse la grandezza di questo uomo del Duecento, che rilanciasse la sua figura oggi. E purtroppo mi è sembrato che il discorso fosse incentrato sulla difficoltà dei suoi successori a tener fede alle parole di Francesco, in particolare all'episodio dei "lebbrosi" raccontato nel suo testamento, praticamente rivisto e adattato in ogni nuova storia scritta.
A questo punto un amico potrebbe «Che ti aspettavi? È uno storico! Non vai a comprare il pane in farmacia...».
Cosa mi è mancato?
Mi è mancato sentire quella storia importante per la mia vita. Se non importante, che almeno avesse qualcosa da dirgli. Non rimpiango il costo del biglietto, perché Barbero è sempre Barbero e perché se sono qui a scrivere qualcosa mi è rimasto... ma si tratta di provare a ripescare quello che poteva accendere la scintilla. E, come accennavo sopra, sempre Barbero mi ha raccontato una volta la vita di Dante Alighieri.
Per stasera mi basta rileggere il suo canto XI del Paradiso, dedicato proprio a San Francesco, in coppia con il canto XII dedicato a San Domenico. I due fondatori degli ordini mendicanti più importanti del Medioevo, divisi anche da duri scontri nelle università e non solo, riappacificati insieme, gomito a gomito, in Paradiso. E se non bastasse, due punti di riferimento (Tommaso per i domenicani e Bonaventura per i Francescani) impegnati a tessere l'elogio dei "cugini" e a rimproverare i propri frati poco fedeli. Grazie Dante, grazie Barbero.
O insensata cura de’ mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l’ali! 3
Chi dietro a iura, e chi ad amforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
e chi regnar per forza o per sofismi, 6
e chi rubare, e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto
s’affaticava e chi si dava a l’ozio, 9
quando, da tutte queste cose sciolto,
con Beatrice m’era suso in cielo
cotanto gloriosamente accolto. 12
Poi che ciascuno fu tornato ne lo
punto del cerchio in che avanti s’era,
fermossi, come a candellier candelo. 15
E io senti’ dentro a quella lumera
che pria m’avea parlato, sorridendo
incominciar, faccendosi più mera: 18
«Così com’io del suo raggio resplendo,
sì, riguardando ne la luce etterna,
li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. 21
Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
in sì aperta e ‘n sì distesa lingua
lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna, 24
ove dinanzi dissi "U’ ben s’impingua",
e là u’ dissi "Non nacque il secondo";
e qui è uopo che ben si distingua. 27
La provedenza, che governa il mondo
con quel consiglio nel quale ogne aspetto
creato è vinto pria che vada al fondo, 30
però che andasse ver’ lo suo diletto
la sposa di colui ch’ad alte grida
disposò lei col sangue benedetto, 33
in sé sicura e anche a lui più fida,
due principi ordinò in suo favore,
che quinci e quindi le fosser per guida. 36
L’un fu tutto serafico in ardore;
l’altro per sapienza in terra fue
di cherubica luce uno splendore. 39
De l’un dirò, però che d’amendue
si dice l’un pregiando, qual ch’om prende,
perch’ad un fine fur l’opere sue. 42
Intra Tupino e l’acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d’alto monte pende, 45
onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo. 48
Di questa costa, là dov’ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo tal volta di Gange. 51
Però chi d’esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Oriente, se proprio dir vuole. 54
Non era ancor molto lontan da l’orto,
ch’el cominciò a far sentir la terra
de la sua gran virtute alcun conforto; 57
ché per tal donna, giovinetto, in guerra
del padre corse, a cui, come a la morte,
la porta del piacer nessun diserra; 60
e dinanzi a la sua spirital corte
et coram patre le si fece unito;
poscia di dì in dì l’amò più forte. 63
Questa, privata del primo marito,
millecent’anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette sanza invito; 66
né valse udir che la trovò sicura
con Amiclàte, al suon de la sua voce,
colui ch’a tutto ‘l mondo fé paura; 69
né valse esser costante né feroce,
sì che, dove Maria rimase giuso,
ella con Cristo pianse in su la croce. 72
Ma perch’io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso. 75
La lor concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi; 78
tanto che ‘l venerabile Bernardo
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve esser tardo. 81
Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
dietro a lo sposo, sì la sposa piace. 84
Indi sen va quel padre e quel maestro
con la sua donna e con quella famiglia
che già legava l’umile capestro. 87
Né li gravò viltà di cuor le ciglia
per esser fi’ di Pietro Bernardone,
né per parer dispetto a maraviglia; 90
ma regalmente sua dura intenzione
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
primo sigillo a sua religione. 93
Poi che la gente poverella crebbe
dietro a costui, la cui mirabil vita
meglio in gloria del ciel si canterebbe, 96
di seconda corona redimita
fu per Onorio da l’Etterno Spiro
la santa voglia d’esto archimandrita. 99
E poi che, per la sete del martiro,
ne la presenza del Soldan superba
predicò Cristo e li altri che ‘l seguiro, 102
e per trovare a conversione acerba
troppo la gente e per non stare indarno,
redissi al frutto de l’italica erba, 105
nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l’ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno. 108
Quando a colui ch’a tanto ben sortillo
piacque di trarlo suso a la mercede
ch’el meritò nel suo farsi pusillo, 111
a’ frati suoi, sì com’a giuste rede,
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che l’amassero a fede; 114
e del suo grembo l’anima preclara
mover si volle, tornando al suo regno,
e al suo corpo non volle altra bara. 117
Pensa oramai qual fu colui che degno
collega fu a mantener la barca
di Pietro in alto mar per dritto segno; 120
e questo fu il nostro patriarca;
per che qual segue lui, com’el comanda,
discerner puoi che buone merce carca. 123
Ma ‘l suo pecuglio di nova vivanda
è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote
che per diversi salti non si spanda; 126
e quanto le sue pecore remote
e vagabunde più da esso vanno,
più tornano a l’ovil di latte vòte. 129
Ben son di quelle che temono ‘l danno
e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
che le cappe fornisce poco panno. 132
Or, se le mie parole non son fioche,
se la tua audienza è stata attenta,
se ciò ch’è detto a la mente revoche, 135
in parte fia la tua voglia contenta,
perché vedrai la pianta onde si scheggia,
e vedra’ il corrègger che argomenta
"U’ ben s’impingua, se non si vaneggia"». 139
Forse rientra anche questo, il lasciare che si accenda il desiderio, nel mestiere dello storico.